Beccalossi Claudio
Claudio Beccalossi, nato a Verona, giornalista pubblicista dal 1984.
Scrivo per i giornali dall’età di 13 anni (il mio primo articolo pubblicato sul settimanale diocesano “Verona Fedele” trattava la guerra del Vietnam).
Dopo aver diretto, fatto parte della redazione od aver collaborato ad una ventina di giornali, dall’inizio del 2009 dirigo “L’Altra Cronaca” (via e-mail). Opero, inoltre, come redattore di “Filofevoss” (mensile della Federazione dei servizi di volontariato socio-sanitari) e quale collaboratore di altre testate nei settori della cultura e della cronaca.
Sono fondatore e presidente dell’Associazione culturale economica Orizzonti (Aceo) e dell’Associazione Scaligera Italia-Ucraina nonché direttore del Circolo culturale Metamorfosi.
Ho scritto, tra l’altro, “Jan Langosz, musica e dintorni…”, “Veneti contro”, “Bombardamenti a Verona”, “Verona. Tra guerra e pace”, “I giorni dell’illusione” e “Io, Giovanna Deiana” mentre è in fase di stampa “Caino e Abele nel KL Auschwitz”.
Nel campo della poesia ho diffuso le raccolte “Origliando alla porta del tempo”, “Apparenti perfezioni svanite” e “Qualcosa sull’amore”, sono inserito in diverse antologie ed ho conseguito vari riconoscimenti in concorsi non solo di poesia ma pure di narrativa e di giornalismo.
AL COSPETTO DI DUE SPECCHI
Lucente specchio fronteggia
il deformante specchio tuo.
Ambedue rifrangon la realtà
ch’è o si vorrebbe o sembra.
Verità e inganno accanto,
logica e follia a braccetto.
Ciascun col suo spicchio
di mondo visto, di sottecchi,
dritto o rovescio o in bilico.
Con calma di ragione o
con frenesia che fa e disfa
nel dissenno di prima e poi.
Sguaiato ridi il tuo esser
d’istinto selvaggio e, quindi,
puro tra inventate regole
e damerini sani nel giogo.
Tendi forse a cieca violenza,
improvvisa ma pavida subito,
superstite rabbia d’aggressivi
primordi che furon obbligo
nell’ostinarsi a sopravviver.
In frantumi mandi lo specchio
e l’irritante normalità sua.
E il tuo rifletterti deforme
rimanda pazzia libera
di natura ch’è anche psiche.
Serena o sconvolta psiche
al cospetto di due specchi.
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NEL TEMPO DEL DIMENTICAR
Smorte figure giunte
da ignoti lidi altrove
m’attorniano per farsi
dar l’identità mancante.
Struggenti mi fissano
e io sento il loro dolore
per non aver più un nome.
Le riconosco per chi erano,
rivedo l’esser che furono,
torno al passato comune.
E, poi, mi riprendo
il diverso presente irritato
per quell’apparir di volti
mesti, sgusciati fuori
da memorie lontane
che credevo ormai sepolte.
Nel tempo del dimenticar.
Rimangono ancora, invece,
e attendono l’impolverato
mio confidenziale
chiamarli, uno e tutti.
Nell’illusione di sopravviver
a silenzio e vuoto calato allora,
a interromper per sempre
le repliche del quotidiano. |